“Thanks for Vaselina”: giochi psicotici in famiglia

vaselina02Disvelarsi nel travestimento. Diventare altro da sé per non soccombere al reale. Tradursi in solitudine per decodificare un’esistenza altrimenti incomprensibile. Oscillare tra mal dissimulate (istig)azioni e allusive (frustr)azioni. Sono questi alcuni degli elementi fondanti l’humus drammaturgico di Thanks for Vaselina, la pièce di Carrozzeria Orfeo presentata nell’ambito della XV edizione di Primavera dei Teatri, festival calabrese sui nuovi linguaggi contemporanei curato da Scena Verticale. Se il titolo del lavoro, e il suo sottotitolo “dedicato a tutti i familiari delle vittime e a tutte le vittime dei familiari” – coprodotto con Fondazione Pontedera Teatro in collaborazione con La Corte Ospitale e Festival Internazionale di Andria | Castel dei Mondi –  sono urticanti, altrettanto accade per la drammaturgia. In essa non vi è traccia di concepimento ingenerante piacevolezza quanto, piuttosto, insinuante corrosività. Come la battaglia etica di Charlie, giovane imbottito di tetrahydrocannabinol e antiamericanismo (non a caso porta lo stesso nome con il quale i soldati americani chiamavano i vietcong), che nebulizza deodorante bio alla papaya e al rosmarino (che nessuno riesce a percepire) quasi a voler sottrarre peso specifico e contorni a un disagio altrimenti stratificato, denso, materico; come la marijuana “analizzata” da spedire in Messico dentro ovuli; come l’identità transessuale di un padre succube di una setta religiosa; come la patologia maniaco-compulsiva di una madre in costante devianza e astinenza da slot machine; come il senso di inadeguatezza emotiva e sociale di un figlio po-eticamente scorretto.

vaselina13Thanks for Vaselina ha ritmi metronomicamente scanditi anche da una scrittura scenica acida, tagliente, spigolosa che lascia ben poco spazio all’indulgenza. Il simbolismo pinteriano della “stanza”, luogo chiuso nel quale i personaggi vengono confinati, contribuisce a creare una sorta di claustrofobico ordigno a orologeria pronto a deflagrare in qualsiasi momento. Poi, con un abile scarto di senso, il disagio di rapporti famigliari incapaci di raggiungere qualsivoglia visione d’insieme si concretizza nell’apparizione quasi metafisica di Annalisa, “padre” di Fil. Da questo momento il fluire farneticante dei dialoghi si avviluppa e dipana come a un’ancora di salvezza tesa a giustificare e provare la loro autenticità ma rivelando un fondo di malessere sempre più minaccioso. E sebbene a tratti gli attori, Gabriele Di Luca (Fil), Massimiliano Setti (Charlie), Beatrice Schiros (Lucia), Alessandro Tedeschi (Annalisa), Francesca Turrini (Wanda), danno la sensazione di monologarsi addosso e la regia a tre (agita da Gabriele Di Luca, sua anche la drammaturgia, Massimiliano Setti, autore delle musiche originali, Alessandro Tedeschi) indugia su confessioni introspettive che sarebbe più funzionale lasciar semplicemente intuire, il concerto per tazzine da caffè, piattini e cucchiaini restituisce atmosfera e armonia all’intera messinscena.

 

 

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