Manlio Santanelli: un drammaturgo con il vizio della poesia

di Francesco Urbano

Un drammaturgo ‘insolito’, un talento teatrale avvezzo all’innovazione, alla trasformazione, alla trasfigurazione di situazioni quotidiane e personaggi ‘comuni’. La libertà tematica e compositiva di Manlio Santanelli è una caratteristica/qualità rara nel panorama teatrale (non solo) italiano. Nella sua drammaturgia Santanelli distilla una scrittura visionaria, surreale, dai risvolti tragicomici e grotteschi, impeccabile per stile e ricerca linguistica. I suoi sono personaggi dominati da nevrosi, prigionieri di rapporti imposti, incapaci di scegliere. Attorno a queste sovrastrutture psicologiche egli è affatto scaltro ad innestarvi, in filigrana, un dolente sardonismo, che cortocircuita i personaggi e ne indirizza i destini.

In che misura nel tuo teatro rito e ritualità diventano mezzi per
esorcizzare una realtà altrimenti insostenibile?
«Direi in misura totale. Il teatro, a mio avviso, costituisce la terapia più
efficace per destrutturare la realtà e ristrutturarla in modo da farle
perdere i caratteri effimeri dell’attualità, per conferirle una dimensione
più duratura nel tempo».

Possono definirsi i tuoi personaggi ‘le tue stesse possibilità non
realizzate’?
«Ogni autore, non senza una vergognosa presunzione, nello scrivere un testo
sembra spezzare il pane, bere il vino e dire: “Questo è il mio corpo,
questo è il mio sangue…”. Fuori di ogni blasfemìa, un testo che matura
nella tua mente di necessità porta con sé, ancorché opportunamente
camuffate, assieme agli eventi che ti sono accaduti, o di cui hai contezza,
quelle “rose che non cogliesti”».

Quelle femminili sono presenze drammaturgiche forti in molte delle
tue pièce. Da cosa derivano i loro caratteri?
«Dalla curiosità che ogni autore di sesso maschile dovrebbe nutrire per
quell’altra faccia della luna, la cui esplorazione non può che arricchire la
scrittura teatrale, e non solo questa».

Che spinta creativa si cela dietro il tuo volume di poesie “Napoli
miele e fiele”?
«La risposta alla tua domanda richiede una precisazione. Nella mia
profession ho sempre cercato di muovermi in un ambito culturale di
dimensione europea. Senza per questo dimenticare la grande tradizione
napoletana, che mi appartiene per diritto di nascita. Da qualche tempo,
però, mi pare che a Napoli vigoreggi una sorta di predilezione per il mondo
plebeo. La cultura napoletana dominante sembra incarognirsi ogni giorno di
più. Ecco spiegata la mia esigenza di collegarmi ad una delle più alte
espressioni dell’anima partenopea. Non per questo, secondo l’uso dello
struzzo e di coloro che gli rassomigliano, nascondo la testa nella sabbia: e
allora ecco “Napoli miele (Di Giacomo) e fiele (il degrado attuale)”».

Riusciresti a sintetizzare una morale, una filosofia, un’ideologia
alla base dell’universo artistico di Manlio Santanelli?
«Mi conosco ancora troppo poco per potermi autodefinire. Ma, costrettovi,
direi che il mio “universo artistico” risponde alla necessità di compensare
attraverso le mie riflessioni, condite di ironia va da sé, l’irriflessione
più o meno generale, che non mi appare intenzionata a invertire la rotta. Se
poi ci riesco, non è certo a me che spetta dirlo».

I tuoi testi sono molto apprezzati e frequentemente messi in scena
anche all’estero, che differenze puoi riscontrare tra le modalità di
fare teatro in Italia e nelle altre nazioni?
«Le differenze si possono ridurre una soltanto, che però le comprende
tutte: la priorità delle qualità del testo rispetto ad ogni calcolo
mercantilistico».

Una risposta a “Manlio Santanelli: un drammaturgo con il vizio della poesia”

  1. Bella questa intervista. Da essa emerge la personalità di un autore come Manlio Santanelli : un napoletano di “qualità” , tanto da essere più apprezzato all’estero che nella sua città e nel suo Paese. Ancora una volta emerge il concetto che napoli ed Napoli sa ancora essere capitale d’Europa ed ultima città italiana grazie all’impegno ed al talento ….dei Napoletani non certo per merito di chi l’amministra.

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