“Prometeo” e “Ronaldo”: i personaggi antiteatrali di Rodrigo García salgono sul ring

AntoninoIuorio03Non ha mai amato i personaggi teatrali Rodrigo García, prolifico autore e regista ispano-argentino, autentico artista della comunicazione immediata, diretta, ultradicente. «Che ricchezza hanno Riccardo III o Amleto? – sostiene il fondatore de “La Carnicería”, teatro-macelleria madrileno da lui diretto – Un personaggio appare e distrugge completamente l’illusione. Sappiamo tutti che è un attore che recita. E’ impossibile restare più di dieci minuti in un teatro. E’ più appassionante vedere le persone». Il suo è un teatro che trae linfa vitale dalla quotidianità, materia cancerosa dalla quale forgiare testi di devastante “normalità”. Per chi non è più abituato a pensare con la propria testa o non lo ha mai potuto sperimentare, assistere ad un suo lavoro potrebbe risultare addirittura indigesto. La realtà è che, al di là delle idee condivisibili o discutibili sul teatro, sul linguaggio e le modalità espressive, l’approccio alla scena di Rodrigo García non lascia sicuramente indifferenti. Come nel caso della riscrittura dell’Agamennone, dove il consumismo imperante e la politica neocoloniale di matrice statunitense vengono sistematicamente sfasciati da distruttivi riti neobarbarici di azioni sceniche dalla dirompente energia de-costruttiva. Ci ha pensato il regista tunisino Chérif a mettere in scena altre “storie” di García in uno spettacolo dal titolo Prometeo – Ronaldo. Cinque round. Nella prima parte – agita da Emilio Bonucci, Alvia Reale, Giorgia Basile, Carlo di Maio, Pino Censi – il mito di Prometeo, punito perché ha osato sfidare l’ordine del creato che relegava l’uomo a un ruolo quasi animale, sale su un ring (o meglio, in esso si ri-flette) e nel metaforico boxare di un pugile “suonato” e analfabeta, pone in essere l’anatomia mentale dell’uomo contemporaneo, ‘offerta del suo corpo nudo’ su un gioco di specchi, mentre lo Speaker  ci rimanda il racconto delle immaginifiche suggestioni di un San Sebastiano martire immortalato dalle pennellate di El Greco piuttosto che di Botticelli, Mantegna o Carreña de Miranda. Nella seconda parte, invece, La storia di Ronaldo il pagliaccio del McDonald’s fotografa con lucidità la nevrotica società dell’iper-consumo ampiamente inteso, subdolamente spacciato per progresso con la sua massiccia dose di modernità da ingollare prima della scadenza. Qui Antonino Iuorio (nella foto), maglietta e bermuda in perfetto stile americano e con una trombetta in mano, si rende artefice di un devastante atto civile, partorito dal logorroico soliloquio di parole che fuoriescono dal corpo e dalla mente del suo “non personaggio”, scagliate con rabbiosa veridicità e tagliente analisi critica contro ogni simbolo di quella dissoluzione che l’omologante spazio asettico del McDonald’s rappresenta nella sua diabolica compiutezza.

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