Franz Kafka, Toni Servillo e il silenzio della musica

Toni-Servillo2Emergono dal vuoto accordi di parole in condensazione e un personaggio irriverente che dà loro compiutezza penetrando in profondità il racconto di Franz Kafka Giuseppina la cantante ovvero il popolo dei topi. Poco importano la trama di quel racconto o la data (1924) della stesura definitiva. Ben più interessante è come il protagonista di questa “lettura”, Toni Servillo, legato alla sua ombra allungata (come in una scultura di Alberto Giacometti) tra “pulpitum” e “cavea” del Teatro Romano di Benevento traduca in “movimento” la successione di punti di immobilità della parola scritta. “La nostra cantante si chiama Giuseppina. Chi non l’ha sentita non conosce il potere del canto… Ma è proprio un canto? Non è forse soltanto un fischiare?”. Deleuze individua in questo suono, privo di variazioni, l’espressione di una “deterritorializzazione” del suono stesso: suono non configurato, non armonico né melodico, non metaforico né riconducibile a uno schema condizionante.  “Chi non l’ha sentita non conosce il potere del canto… Ma è proprio un canto?”. Servillo apre allo spettatore due prospettive: il canto ha un potere perché sortisce degli esiti, e ci fa ascoltare il suono di vocalizzi che provengono da due diffusori collocati “in solitudine” sul palcoscenico; oppure esso è una potenza, nel senso che può emergere secondo configurazioni indefinite per numero, forma, suoni, silenzi da quel pentagramma attraverso il quale “esegue” la sua partitura monologante. Eppure Giuseppina non canta come ogni altro cantante; il suono emerge da lei, dal corpo, in uno stato tale di indifferenziazione che ci si chiede se davvero il suo sia un canto o meno. Poiché il “non essere” è sempre relativo il canto di Giuseppina sta tra “l’essere qualcosa” e “il non essere qualcosa”. Ciò che corre tra i due poli di questo spettro di variazione, che può assumere configurazioni altre (che il canto sia un fischio, per esempio), è un elemento “stabile”: il suo canto, che è un potenziale indeterminato, semplicemente “è”. “Non è piuttosto un fischiare?” chiede Kafka – ma chiunque ascolti un fischiare perché dovrebbe cogliere il potere del canto? La genesi di un atto che sta per compiersi ci riporta all’implacabile suggestione teatrale che Toni Servillo rende attuabile attraverso innumerevoli possibilità espressive e che risiede in quel microcosmo di gestualità materica, inton/azioni, dis-tensioni emozionali  le quali agiscono per differenze, ritmi, vibrazioni, pause che s’inseguono su di una superficie frastagliata di significati. L’ultimo atto di Giuseppina è quello di sottoporre il proprio canto a un’inesorabile autoriduzione sino all’annullamento, nel silenzio. Ebbene, sublimando l’intima logica del personaggio kafkiano, Servillo lascia implodere se stesso nel destino ultimo dell’arte e dell’artista: il silenzio.

Lascia un commento