“Il Bunker” o la rottura di un equilibrio precario

bunker-8Teatro corporeo o lezione di aerobica? Nonostante un’imprevista componente masochistica mi abbia spinto ad affrontare l’evento con totale dedizione e impegno, al termine de Il Bunker, la creatura teatrale partorita dalla penna e dal ‘talento’ registico di Rosario Liguoro, l’arcano non ha avuto soluzione. Per i quindici attori/mimi/danzatori (adornati in fogge multicolori da Annalisa Ciaramella), data probabilmente la virginale esperienza artistica, sarà stato anche divertente lasciarsi coinvolgere in questa sorta di saggio scolastico di fine anno. Per chi vi ha assistito come spettatore critico, invece, il divertimento ha lasciato sin da subito il posto a una condizione di frattura temporale intellettiva e psicologica che potremmo sintetizzare col termine di catatonia. Nella “teoria delle catastrofi” il matematico francese René Thom cerca di dimostrare che quanto appare essere catastrofico, nel senso di apocalittico, rivoluzionario, capace di produrre cambiamenti radicali è, in realtà e a livello matematico, frutto di continuità. E’ altresì interessante vedere come, nelle sue opere teatrali, Jean Racine definì la catastrofe: «Dénouement tranchant un noeud, des forces antagonistes qui bloquent l’action théatrale». Racine, quindi, ci parla di una catastrofe che scioglie un nodo, il riferimento è a forze antagoniste che bloccano l’azione teatrale. Scienza e teatro: forse basta sostituire il concetto di nodo con quello di tensione tra forze contrapposte, per riconoscere la piena affinità nel concetto di  catastrofe secondo Thom e Racine. Per l’uno e per l’altro essa rappresenta la rottura di un equilibrio precario e il ristabilirsi di un nuovo equilibrio, più o meno stabile. Nel caso specifico, Il Bunker vuole essere proprio una metafora della “catastrofe” nella sua accezione drammatica, vista come anticamera dell’apocalisse. Da quanto apprendiamo dal materiale cartaceo distribuito prima dello spettacolo, la fonte d’ispirazione di Rosario Liguoro sono state le letture di James G. Ballard. L’intento dello scrittore inglese (nato, però, a Shanghai) è esattamente quello di usare l’immaginazione per inventare mondi di fantasia che abbiano un senso più profondo della realtà convenzionale, la quale resta tuttavia il punto di partenza e di riflessione in tutti i suoi romanzi. I personaggi ballardiani sopravvivono, infatti, alle circostanze catastrofiche in cui si vengono a trovare, perché egli fa scoprire loro una verità più profonda e nascosta, che risiede in un luogo immaterico definito “inner space” o spazio interiore. Solo che il termine fantasia è alieno a questo allestimento, la cui impalpabile drammaturgia sposa alla perfezione le coreografiche performance gestuali agite goffamente utilizzando sedie di plastica pieghevoli (!) e il vacuo deambulare degl’imberbi corpi mascherati, rimandando solo l’emblematico residuo polverizzato di un’identità teatrale, individuale e collettiva, che ha perduto ogni punto di riferimento.

 

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