“Urlo”: il devastante musical di Pippo Delbono

urloUna prolungata lamentazione prende forma nel buio della sala a sovrastare il consueto tossicchiare nervoso di qualche anziano signore e l’eccitato brusio di inconsapevoli giovani spettatori. E’ l’angoscioso prodromo di Urlo, il musical devastante dell’attore-regista Pippo Delbono. Ad articolare i meccanismi di questa creatura ultradicente, che sin da subito ti possiede con sensazioni animalesche, violente sollecitazioni emotive, disperante poesia, è il potere come malattia profonda connaturata all’essere umano nelle sue molteplici forme d’espressione e mimesi spirituale: (im)politico, famigliare, militare, (ir)religioso, ideologico. Dalla confluenza, senza salvezza alcuna, e dallo scontro incessante tra potere e patire si riflettono le sfumature di senso della voce, urlante o sussurrata, di Pippo Delbono. Egli, attraverso il gesto sonoro amplificato dagli altoparlanti, tenta di ricomporre lo sfondo di un orizzonte esistenziale frammentato dalle parole aspre e taglienti, sulla repressione e sul fallimento di ogni rivolta contro le convenzioni e la morale, sublimandolo nei versi in sestina de La ballata del carcere di Reading di Oscar Wilde piuttosto che nel poema del beatnik Allen Ginsberg Urlo, «Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate nude isteriche, trascinarsi per strade di negri all’alba in cerca di droga rabbiosa…». In una cadenzata cronologia assistiamo allo sfilare, come in un circo delle atrocità, di una grosziana dis-umanità, grottesca ed emarginata, risucchiata e rigettata fuori da baracche fatiscenti (nella scenografia di Philippe Mariole), o dallo stesso potere resa insensibile e cieca, come per i ricchi commensali riuniti attorno ad una tavola lussuosamente imbandita. Suore microsomiche, solenni metropoliti, militari con volti deformi, esseri regali che sembrano vomitati dalle pagine di rotocalchi scandalistici, orrendi pupazzi antropomorfi, inquietanti personaggi fumettistici. Il cameo che vede un deambulante Umberto Orsini agire il processo di decadenza del Riccardo II di Shakespeare «dalla regalità divina al ‘Nome’ della regalità; e dal nome alla nuda miseria dell’uomo», per citare Hermann Kantorowicz. E poi la voce di Rita “la zanzara” Pavone, assordante colonna sonora per la teoria di aerobici e sudanti individui in costume su un’assolata spiaggia anni Cinquanta che gradualmente si trasforma in uno scenario da apocalittico giudizio universale, tra gemiti e  agonizzanti  crocifissioni. Urlo attraversa quel solco sanguinante che sottrae l’uomo a se stesso e lo sospende a qualcosa che dal suo interno lo trascende, nella pura fisicità degli attori, molti dei quali letteralmente presi dalla strada, senzatetto, down, disabili mentali, nella loro capacità di comunicare al di là delle parole. E’ così che Fadel Abid, Dolly Albertin, Gianluca Ballarè, Raffaella Banchelli, Bobò, Viola Brusco, Enkeleda Cekani, Margherita Clemente, Piero Corso, Lucia Della Ferrera, Ilaria Distante, Claudio Gasparotto, Gustavo Giacosa, Simone Goggiano, Elena Guerrini, Mario Intruglio, Nelson Lariccia, Gianni Parenti, Mr. PumaMarzia Valpiola e, accanto a loro, il fido Pepe Robledo, la salmodiante cantautrice folk Giovanna Marini, la formazione musicale La Contrabbanda di Luciano Russo, sono diventati protagonisti di un lavoro affatto emozionante.

 

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