La tragedia fiabesca del pensiero umano

tumblr_kq43cuVqtu1qzstnvo1_400Il bianco è il colore della tragedia. Abbacinante, opalescente, spettrale. Fiabesca ne è la sua dimensione emozionale. Così è per B#03, episodio berlinese della Tragedia Endogonidia, un ciclo senza precedenti nella storia del teatro e delle arti plastiche, concepito per l’Hebbel Theater dalla Socìetas Raffaello Sanzio. Gli spettatori al loro ingresso in platea scoprono che tutti i posti sono occupati da pupazzi neri clonati raffiguranti dei conigli i cui visi dalle lunghe orecchie animali sono fissi verso il niveo palcoscenico, lasciando intuire che i protagonisti della Tragedia, probabilmente, sono loro. Questo alveo siderale pulsante di rumori, echi, stridori (abilmente manipolati da Scott Gibbons) avviluppa il corpo di una donna nel suo letto, La madre anonima (Francesco Proia) che esplora la propria an(at)omia nella ricerca dell’altro e di sé, in un rituale sadomaso officiato da sacerdotesse marziali, I soldati della Concezione (Roberta Brusato, Francesca Debri, Claudia Zannoni) o da La larva nera (Monica Demeru). La Tragedia dell’origine dell’umanità nasce da qui: tra il talamo, il sangue, la germinazione della Legge, il destino, la morte. Quello che i deus ex machina Romeo Castellucci (regia, scene, luci, costumi) e Chiara Guidi (regia, drammaturgia musicale, composizione vocale) ci lasciano vedere è un’entità spettacolare che dimostra fortemente l’appartenenza ad un’eredità endemica propria della compagnia, in cui memorie, stratificazioni, attraversamenti di estetiche e linguaggi sono fusi in un movimento che cristallizza la po(i)etica della Socìetas Raffaello Sanzio. Ma dov’è oggi il tragico? Meglio: dov’è oggi la tragedia? Nel suo Saggio sul tragico Peter Szondi compie un passo decisivo verso l’annullamento del tragico nel contemporaneo. Egli utilizza Walter Benjamin come emblema di questa vaporizzazione del tragico: “Al culmine dello sguardo all’interno della struttura del tragico, il pensiero ricade esausto su se stesso”. Ecco allora come la tensione tellurica scatenata in scena da un’autentica simulazione di terremoto, con tutta la sovrastruttura del palco che incomincia a vibrare producendo un angosciante rumore sordo, definisce e purifica la misura di questo rapporto distruttivo. Nel supposto crollo del tragico, che è invero il crollo della filosofia (e, prima ancora, della filosofia della storia), s’invera il profondo esito che il tragico ottiene dal proprio manifestarsi agli uomini. Questa caduta del pensiero, reso esausto, su se stesso – questo crollo che non dice che l’esistenza del pensiero è estinta -, questo è il tragico contemporaneo. La tragedia ha dunque un eroe, sconfitto e trasmutato: il pensiero umano, magari osservato da La Bambina (Eva Castellucci), elaboratrice di ciò che il suo inconscio traduce sotto forma di enormi orsi dal candido pelo bianco (ancora una volta viene utilizzata la metamorfosi fiabesca, dove gli animali convivono con gli umani, e dove anche – o solo – gli animali hanno la parola), goffi eppur inquietanti nel loro incedere caracollante, pronti a chiudere in un recinto l’orizzonte dell’utopia umana.

Lascia un commento