Ian D’Agata: «Il vino perfetto? Puro, territoriale, memorabile»

Ian D’Agata è forse oggi il wine writer e critico enologico italiano di maggior richiamo (inter)nazionale. Dal 2005 è responsabile per l’Italia e Bordeaux dell’International Wine Cellar di Stephen Tanzer, dal 2008 è co-autore della Guida D’Agata e Comparini ai Migliori Vini d’Italia, dal 2009 autore della Guida ai vini Prezzo-Piacere, guide oggi confluite nella nuova, annuale, e più ampia Vin-Guida all’eccellenza del vino italiano, e dal 2010 anche della statunitense The Ecco guide to the best wines of Italy, pone tra i suoi obiettivi quello di promuovere i vini italiani nel mondo, soprattutto in Europa, Asia e Nord America dove sovente si reca per condurre degustazioni o per partecipare, in qualità di relatore, a conferenze e seminari.

Esiste il vino “perfetto”? «Il vino più vicino alla perfezione è quello equilibrato. Ci sono tanti splendidi Biancolella a Ischia o Coda di Volpe in continente che se vinificati ad arte sono assolutamente deliziosi, praticamente “perfetti” nella loro beva, nelle loro caratteristiche organolettiche, nel piacere che sanno dare a chi li assaggia. Certo poi il Sassicaia 1985 o il Barbaresco Santo Stefano Riserva 1971 di Bruno Giacosa sono vini indimenticabili ma non sono perfetti nemmeno loro… Anche se ci vanno molto vicini».

Tre aggettivi per definirlo? «Puro, territoriale, memorabile. Puro in quanto un vinificatore attento sa esprimere in bottiglia le caratteristiche di quel dato vitigno che si dovrebbero sempre riconoscere nella sua purezza. Territoriale perché il vino è da sempre legato a un territorio, e deve ricordarlo: un vino dell’Etna non può e non deve somigliare a uno prodotto in Cile. L’Italia è la patria dei vini diversi, ognuno con una storia ed un luogo da raccontare, ed è un peccato rinunciare a questo in favore di vini più “facili” da produrre. Memorabile perché  poche altre cose nella vita vengono ricordate come assaggiare un grande vino».

Quali sono le regole imprescindibili per una corretta degustazione? «In termini di degustatore professionista che deve assegnare punteggi mai più di 35 vini in una mattinata, e ciò per ragioni fisiologiche, cosa che non fa quasi mai nessuno, soprattutto quando si deve compilare una guida in tutta fretta. La degustazione del vino in termini professionali richiede studio sui libri, in cantina, per vigne, ed anni di esperienza: non basta bere un po’ per diventare esperti. Per degustare con gli amici a cena, invece, è importante non far fumare nessuno durante la serata e non iniziare con cocktail o altri aperitivi a base di alcool. Inoltre, degustare sempre dal vino più giovane al più vecchio, da quello più secco a quello più dolce, dal bianco al rosso».

 Che prospettive intravedi per il futuro dell’enologia? «Importanti! Però bisogna fare vini “autentici”, magari riscoprendo i vitigni autoctoni. Inoltre, e mi riferisco a ciò che definirei “schiamazzi anti-alcool”, il vino ci accompagna da secoli e continuerà a farlo in futuro, e non si può ghettizzare chi consuma vino coscientemente. Diciamoci la verità: i disastri stradali di cui si sente parlare non sono praticamente mai causati da un padre di famiglia o una signora che è stata a una degustazione oppure ha pasteggiato a Piedirosso o Amarone. Quindi auspico che ci sia una presa di coscienza anche da parte di chi legifera perché il vino per l’Italia è un’industria fondamentale che va protetta e non messa alla berlina solo per compiacere qualche partner dell’Unione Europea».

Lascia un commento