L’arte di Umberto Orsini al servizio della poesia di Pascoli

Non è mai pienamente convincente il dire “scorrevole” nutrito di abitudini.  A esso è preferibile il grezzo, l’informe, la lingua che tracima, ch’esce fuori dai cardini. Forse per questo spesso a teatro è facile annoiarsi. A volte, invece, ci si imbatte in piccoli frammenti di arte del dire, e del leggere poesia. Attraversando la lettura si scopre ogni volta un suono nuovo, un’immagine diversa, una sensazione altra che è possibile condividere  con il pubblico. Orsini legge Pascoli, è l’omaggio all’universo poetico di Giovanni Pascoli – maturato attraverso le vicende biografiche, in primis il tragico e inspiegabile assassinio del padre  – che Umberto Orsini è riuscito (finalmente) a depurare da ogni retorica declamazione o eccessi di virtuosismo interpretativo dotandolo di un proprio “potere di senso”. Un titolo laconico dietro cui si celano liriche note quali La cavallina storna, ma anche alcune poco conosciute, come Il Rospo, traduzione di Pascoli di un’opera di Victor Hugo, un omaggio a Gianni Santuccio «un grande attore e un ottimo amico, che amava interpretarla». E poi Il temporale, L’ora di Barga, La tessitrice, La tovaglia, La mia sera, La nebbia. Il risultato è una serata in cui l’atmosfera che si respira è quella delle contraddizioni e dei conflitti sociali, dell’esteriorità che nasconde la crisi interiore, dell’incertezza, dell’inquietudine; della natura mai descritta con un discorso disteso e completo, ma con brevi tocchi, con impressioni appena accennate, sensazioni visive musicali impalpabili, che si accostano accennando, suggerendo, sfumando. Scansione del respiro, cesure, accenti, dissociazione del ritmo, contrasti, sillabe spezzate, parole tronche: la lettura di Orsini assomiglia essa stessa ad una composizione poetica. Ed egli diviene “un essere integrale di poesia” che gioca con la voce nel momento in cui la libera dalla dipendenza dal significato. I versi letti abitano una lingua che è prima di tutto corpo della voce, oralità dei sensi e della mente. Una lingua dal ritmo sincopato, dove la sintassi risente della tensione a farsi fiato, voce, grido, infine silenzio. E’ un Pascoli struggente, vibratile, profondo, lontano dal noioso e melenso poeta subito da generazione di studenti. E’ un Pascoli letto da Umberto Orsini.

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